Il susseguirsi di interventi normativi e la perdita di capacità critica da parte degli operatori del diritto

Oggi i più potenti siti aggregatori di news giuridiche, veicolati da pagine Facebook, comunicano massime di sentenze, descrivono i nuovi provvedimenti legislativi. Sono un prodotto utilissimo, sono servizi gratuiti al passo con un legislatore frenetico, che macina, tritura, ricompone norme, continuamente abbagliato da input politici che predicano spasmodica innovazione, spesso fine a se stessa, assai ancor più spesso, inutile e addirittura generante complicazioni interpretative. Il codice di procedura civile ha conosciuto modifiche, interpolazioni e regolamentazioni complementari contenute in altre norme, frammentando la disciplina del processo civile. Dalla semplificazione dei riti del d.lgs. 105/2015, al rito C.d. Fornero per le cause di impugnativa d licenziamento nelle imprese con oltre 15 dipendenti ex l. 92/2012 (poi abrogato per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato sorti con il jobs act), l’accertamento tecnico preventivo in materia assistenziale ex art. 445 bis c.p.c. con i suoi risvolti problematici mai risolti, alle riforme del processo esecutivo, del giudizio di cassazione, l'introduzione della mediazione civile obbligatoria in parallelo con la media-conciliazione. In questo contesto il modello comunicativo dei siti web in questione è vincente. I post delle pagine dei siti di news giuridica vengono condivisi continuativamente sui gruppi social di avvocati per essere commentati sinteticamente. Ma l’obiettivo comunicativo di queste pagine è raggiungere soggetti privi di alfabetizzazione giuridica o che non praticano il diritto come professionisti. Da un lato l’opera è meritoria in termini di "divulgazione". Né si può nascondere che l’obiettivo di questi studi-siti sia quello di attirare potenziali clienti privati, dato che in quasi ogni pagina si può accedere agevolmente ad un form per interpellare l'esperto di turno. Ecco che ci viene spiegato “se l’azienda non mi paga lo stipendio, come mi tutelo?”, “che rischio corro se faccio da socio prestanome?” il post assertivo: “se l’ex marito non paga il mutuo lo posso querelare”.

Si tratta di informazioni schematiche, essenziali, utili per il fine.

La questione, però, è l’inaridimento dell’approccio interpretativo e critico dei fenomeni giuridici. Tutto viene descritto spesso in termini perentori: si fa così, la norma si applica in questi termini. Ciò avviene quando è citata una sentenza, magari in prima applicazione di una novità legislativa. E così, nel turbinio delle "web sentenze", la prima massima che sbuca fuori tra pagine e gruppi Facebook "fa giurisprudenza", a prescindere dall'autorevolezza del Foro che l’ha pronunciata, possa essere, con massimo rispetto, il Giudice di Pace di un piccolo paese, o la sentenza di una corte d'appello. Ciò induce pigrizia nel giurista che si appaga della tesi che lo conforta in una causa, o che lo fa desistere dal proporre un'interpretazione diversa “perché tanto ormai la norma si interpreta in quel modo”.

A ciò induce anche la Riforma del giudizio di cassazione che non mira ad una deflazione del contenzioso, ma alla fissazione a tempo indeterminato delle codifiche interpretative vigenti, mortificando l’attività creativa dell'operatore. Con ciò il diritto non si rafforza, ma si indebolisce perché la sua osservanza diviene sempre più formale e non partecipata, sentita, vissuta. Un diritto inteso e vissuto come corpo estraneo